19 Aprile 2024

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Quotidiano on-line

“ARTHUR”, di Antonio Cammarana

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Antonio Cammarana, Acate (Rg), 21 marzo 2017.

 

Sono arrivato sulla cima della vetta più alta e, come Prometèo, ho rapito la fiamma al Cielo, raggiungendo il potere creativo della parola: le tenebre si sono fatte aurora e la vita è diventata l’avventura dello spirito.

Allora

ho giocato con le vocali, ho annunciato il tempo degli assassini dopo la veglia d’ebrezza, ho costruito il battello ebbro per trasportare l’ardente brama del mondo nel mare aperto, per una stagione della vita sono stato lo sposo infernale della vergine folle, ho rischiarato l’arte con le mie illuminazioni e la terra con i miei deliri estetici, ho ricavato l’oro dal metallo vile, ho sognato la notte di smeraldo e le nevi abbaglianti.

Dopo

Ho visto la fermentazione di enormi stagni, immensi serpenti mangiati dalle cimici, arcipelaghi siderei, isole dai cieli deliranti; ho conosciuto l’amore che gonfia di stordenti torpori, la lentezza delle carezze che fa sorgere e morire un desiderio di pianto, ho formulato l’inesprimibile, ho raggiunto il silenzio; lontano dall’afrore di carni e stoffe putride, dai buffoni prostrati con gesti ripugnanti, seduto sul ciglio di una strada, in compagnia della mia bohème, ho sognato i fiori che squillano, le lepri che pregano, il connubio tra la terra e il mare.

Infine

ho attraversato le campagne verdi, ho errato nelle strade delle città grigie, ho visto le mura color fango, ho sentito l’ululato dei cani selvatici dei lupi del vento e della tempesta, sono stato sulle rive dei mari morti e stagnanti, mi sono diventate familiari le sabbie del deserto e le nere montagne vulcaniche, ho fatto il mercante di coloniali di armi e di schiavi, ho seppellito l’albero del bene e del male.

Ora

che ho la magrezza di uno scheletro e il colore di un cadavere, ora che chiudo gli occhi sentendomi non un povero infelice reprobo, ma l’ispiratore dell’enigma che forma il nucleo del mio mito: “…e vivo si amputò della poesia”.

Ora

posso fornire la mia carta d’identità, fare i nomi dei miei compagni, non tacere la definizione che mi è stata data, scrivere il mio nome, ma non il mio cognome.

Carta d’identità: Pantaloni stretti, maniche di giacca corte, nastro sudicio per cravatta, occhi azzurri e penetranti in un volto di bambino;

compagni: Albe strazianti, lune atroci, soli amari;

definizione: il vagabondo dalle suole di vento;

nome: Arthur…

cognome: …

Antonio Cammarana

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