28 Marzo 2024

ITALREPORT

Quotidiano on-line

“Era la sera”. Da: Giustizia Insieme.

3 min read

Bruno Giordano, Magistrato della Corte di Cassazione, in questo suo elaborato pubblicato su: Giustizia Insieme, ricorda una delle storie siciliane più buie, “scritta con le armi” dalla mafia, il 5 gennaio di 37 anni fa, nel 1984 a Catania.
Riportiamo integralmente questa triste storia e ringraziamo il dottore Giordano per la gentile concessione.
Redazione Italreport

Roma. 04/01.2021

Giustizia Insieme

Era la sera,
di Bruno Giordano.

La sera del 5 gennaio 1984 cinque proiettili calibro 7,65 spengono la voce di Giuseppe Fava all’ingresso del Teatro Stabile di Catania dove si rappresenta “Ultima Violenza”, il dramma con cui si processa una società corrotta nella politica, nell’economia, nell’università, nella giustizia. Un processo che si poteva solo immaginare, recitare, inventare in un teatro, sempre pieno. Gli studenti universitari di Catania che affollammo i suoi funerali dicemmo subito che era un omicidio di mafia, intelligente, strategico, dissuasivo: volevano zittire i siciliani. Il giornale e tutti noi.

Fava sui “I Siciliani” scriveva del forte doppio filo che legava i quattro cavalieri del lavoro di Catania, Prefetti, la mafia di Santapaola, la stampa regionale e una certa magistratura “alta” del palazzo di giustizia di Catania. Tutti i numeri offrivano un vero giornalismo di inchiesta con la ricerca e la denuncia di fatti, uomini, interessi economici e politici ben saldi attorno alle banche che operavano in Sicilia (troppe rispetto all’economia reale), agli appalti (soprattutto quelli per realizzare la base missilistica di Comiso per l’istallazione dei Cruise), a una certa chiesa pavida se non collusa rispetto a una diffusa accettazione della corruzione morale. Memorabile rimane l’articolo in cui ci si interrogava sull’ospitalità di un convegno di magistrati presso un grande albergo sul mare di Catania di proprietà di uno dei cavalieri del lavoro. Un anno dopo un’inchiesta della magistratura torinese svelerà una serie di fatti di corruzione riguardanti alti magistrati di Catania.

Più Fava e i suoi ragazzi alzavano il tiro, più cresceva la diffusione delle copie, spesso in ristampa, e l’interesse a leggere quello che tutti sapevano e sussurravano ma che fino ad allora non avevano il diritto di leggere e capire: c’era un sistema di potere, di tutti i poteri, e poi c’erano tutti gli altri schiacciati da quel sistema, cittadini, studenti, emigrati, contadini. Ma I Siciliani lo scrivevano e tanti lo leggevano, non più soltanto in sicilia. Lievitava la coscienza. E questo faceva paura.

Per l’uccisione di Giuseppe Fava la prima Corte d’assise di Catania ha condannato il boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, ritenendoli mandanti, e Marcello D’Agata, Francesco Giammuso e Vincenzo Santapaola, come organizzatori ed esecutori dell’omicidio. La Corte d’appello di Catania ha poi confermato le condanne all’ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, mentre ha assolto D’Agata, Giammuso e Vincenzo Santapaola che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come esecutori dell’omicidio. Sentenza che è stata confermata dalla Corte di cassazione nel mese di novembre del 2003.

Quella sera del 5 gennaio comunque non vinse la paura.

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