20 Aprile 2024

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Ragusa, polemica infermiere di famiglia. Presidente collegio IPASVI, Gaetano Monsù, interviene a tutela della dignità professionale della categoria

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Il presidente Gaetano Monsù

LA POLEMICA SULL’INFERMIERE DI FAMIGLIA APPRODA ANCHE IN PROVINCIA DI RAGUSA. IL PRESIDENTE DEL COLLEGIO IPASVI GAETANO MONSU’: “DAL TRIAGISTA AD ALTRI ASPETTI PROFESSIONALI, C’E’ CHI STA CERCANDO DI SCREDITARE PUBBLICAMENTE LA NOSTRA FIGURA DIMENTICANDO CHE OGGI GLI INFERMIERI SONO MOLTO PIU’ FORMATI CHE IN PASSATO”

RAGUSA – Approda anche in provincia di Ragusa la polemica sull’infermiere di famiglia. Una polemica ancora più rovente se si considera che alcuni medici di famiglia, in pubblico, hanno espresso le proprie opinioni sul ruolo della figura infermieristica, in parte screditandola, soprattutto quando si fa riferimento al triage dell’emergenza-urgenza, quindi nei Pronto soccorso ospedalieri. Una polemica che sta suscitando parecchie prese di posizione sui social e rispetto alla quale il presidente del collegio Ipasvi di Ragusa, Gaetano Monsù, ha ritenuto opportuno intervenire a tutela della dignità professionale degli infermieri. “Il triagista – sottolinea Monsù – è un infermiere con formazione specifica che dopo valutazione secondo protocolli e procedure scientifiche assegna un codice di priorità di accesso agli ambulatori medici dove l’utente sarà visitato (ovviamente un infermiere non fa diagnosi medica). Cosa dovrebbe fare, secondo l’esternazione di alcuni, un medico al triage? A mio avviso violerebbe il suo mandato istituzionale che è appunto quello di fare il medico. Procediamo per passi lenti: giunto in accettazione il paziente viene accolto dall’infermiere triagista che lo valuta secondo quanto descritto prima, il medico cosa farebbe? Spero lo visiti, cerchi in tutti i modi di formulare una diagnosi e dare una terapia (quello che tutti i cittadini si aspettano dai medici) ed è quello per cui sono preparati attraverso il loro percorso formativo. Mi preoccuperebbe abbastanza, come cittadino, se così non fosse. Ma ritorniamo al triage: visita, anamnesi, prescrizione di esami strumentali, diagnosi “probabile” o certa e conseguente terapia, i medici fanno questo o no? Se facessero altro non si chiamerebbero medici. Una volta fatto tutto questo cerchiamo di calcolare un minimo di tempistica, mezz’ora o tre quarti d’ora o su di lì ad utente. In un medio pronto soccorso con circa 100 accessi al giorno non basterebbero le 24 ore solo per l’accettazione di circa 50 utenti. Oppure c’è chi suggerisce di mettere un medico che faccia triage come l’infermiere per poi dire all’utente: “Guardi, le assegno un codice dopo sarà visitato da un mio collega che farà quanto in proprio potere per risolvere il suo problema”. Quale credete che possa essere la domanda ovvia da parte dell’utente? “Ma io sto male, lei è un medico, mi dica cos’ho, ma soprattutto mi dia qualcosa per il mio malessere”. Che poi è quello che i cittadini chiedono ai medici. E nel rimandarlo ad “altri” senza fare quanto è in suo potere di medico, come si coniuga ciò con il codice deontologico di ogni professionista? E se succede qualcosa all’utente che aspetta di essere visitato dal collega medico, come se ne esce fuori? Forse ho sbagliato tutto e c’è chi pensava di abolire il triage fatto da infermieri e creare un sistema nel quale il medico visita subito l’utente senza che debba aspettare il proprio “turno”. Ecco perché faccio due conticini: occorrono in media dai sei ai setti ambulatori completi di medici ed infermieri per realizzarlo (in un pronto soccorso medio), si facciano un po’ i conti in termini di spesa. E comunque, per quanto mi risulta, nel Pronto soccorso nel quale lavoro non è mai morto nessuno aspettando di essere visitato e questo è indice che il triage è fatto bene da professionisti preparati; per quanto riguarda l’attesa purtroppo non dipende dal triagista ma da una serie di circostanze ascrivibile a parecchi aspetti che non sto qui ad elencare. Però voglio fornire un dato: nei tre Pronto soccorso iblei di Ragusa, Vittoria, Modica, affluisce annualmente una media di circa 100.000 utenti. La popolazione complessiva della provincia è di circa 300.000 abitanti. Ora, se un terzo della popolazione ha bisogno dei Pronto soccorso provinciali, qualcosina a livello territoriale non funziona. Lavoro gomito a gomito, e mi onora farlo, con medici dell’emergenza con esperienza e preparazione che conoscono il lavoro che si fa in tale ambito e conoscono l’enorme impegno che l’infermiere triagista deve mettere in campo per fare in modo che per prima venga visitato dai medici chi lo necessita”. Il presidente Monsù poi prosegue con riferimento a un’altra serie di esternazioni riguardanti l’infermiere di famiglia, definita “un’improvvisazione alquanto pericolosa”. “Esternazione – aggiunge Monsù – che risulta essere offensiva nei confronti degli infermieri e dannosa nei riguardi dei cittadini in quanto fornisce un’immagine sbagliata della nostra professione e vorrebbe lasciar trasparire che siamo “mestieranti dominati da un’assoluta anarchia formativa”. Ricordo solo che le Università italiane hanno istituito “Master universitario di I livello con indirizzo di infermieristica per la continuità assistenziale territorio-ospedale-territorio”. Avere infermieri che si occupano di assistenza domiciliare può solo tornare utile al cittadino per non parlare del fatto che esistono anche infermieri che collaborano con le farmacie”.

Il presidente Gaetano Monsù
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