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Il 10 novembre verrà presentato per la prima volta a Palermo: “Novembre è un bel mese per morire” di Antonio Coccia

PALERMO – Carlo, Giuseppe, Nino, il maresciallo Garmendia e Pietro sono cinque uomini, cinque amici, indivisibili come le dita di una mano, cui il destino bendato ha voluto sparigliare le carte, quelle con cui amano passare il tempo, giocando a briscola. Sono loro i protagonisti assoluti, insieme a un essere inanimato “la Fabbrica”, di “Novembre è un bel mese per morire” il nuovo romanzo sociale di Antonio Coccia ed edito da Bonfirraro, entrato a pieno titolo nella collana romanzo B, che scava dentro le pieghe di una società ormai in decadenza, di un capitalismo che ha perso la sua lucidità e implode travolgendo lavoratori e operai, disillusi anche dai sindacati. Il libro verrà presentato per la prima volta al pubblico, a Palermo, per venerdì 10 novembre alle ore 17.00, all’Oratorio di Santa Cita in via Valverde. Presenteranno il libro Gianluca Colombino (segretario generale Ligea-Cisal), Giuseppe Badagliacca (segretario regionale Fiadel-CSA), a moderare l’incontro sarà Luciano D’Angelo (project manager Chiesa di San Mamiliano) e con le letture di Giusy Vassallo.
È l’ottobre del 2011 e siamo a Leonida, piccolo paesino siciliano, dove il boom economico ha lasciato solo la ruggine della “Fabbrica” chiusa, un’entità misteriosa che ha garantito buon reddito a tutta la cittadina per generazioni, ma che adesso soccombe all’urlo della crisi economica che impera. È così che l’autore – originario di Carini nel palermitano, assistente sociale di professione, ma scrittore per diletto, giunto già alla sua seconda pubblicazione, la prima con l’editore Bonfirraro – riesce a dipingere il tracollo sociale ed economico di un’intera comunità, derubata del proprio lavoro, derisa e ingannata da una politica autoreferenziale e poco lungimirante, e lo fa con una scrittura realistica e al contempo poetica, dove non mancano – anzi, in alcuni passi, sono preponderanti – gli slanci ironici e spassosi.
«Lo spunto per scrivere il romanzo – racconta l’autore – mi è venuto da una serie di materiali che avevo raccolto in relazione alla crisi economica degli ultimi anni e alla conseguente crisi industriale, con la chiusura delle fabbriche, in particolare in Sicilia, e la strage di posti di lavoro. Se il più eclatante è il dossier relativo alla Fiat di Termini Imerese, anche quelli riguardanti Italtel, Imesi-Ansaldo Breda, Keller e varie altre realtà minori hanno attirato la mia attenzione».
Una problematica, dunque, di un’attualità sconcertante trattata con delicatezza all’interno del romanzo che, spesso, si colora anche di sfumature noir, e che comprende anche la riflessione sul suicidio di un’intera generazione, tanto da spingere Roberto Leone, noto cronista de La Repubblica, a firmare il risvolto di quarta: «Una frantumazione corale raccontata in vari modi e da diverse angolazioni – scrive il giornalista – Il vecchio, il passato non è del tutto scomparso e continuerà anche dopo la morte. Pietro Salina è un novello Gattopardo in queste pagine che narrano giorno dopo giorno una spietata lotta per la sopravvivenza, segnata da elementi tipici della sicilianità, in primo luogo la mania del controllo del territorio e la presenza di veri o presunti boss. Emerge tra tutto, però, il senso profondo della famiglia, questa volta nella sua forma migliore, quella dell’amore e della solidarietà, della presenza anche silente e magari nascosta. Ed è questa la carta vincente che induce il lettore ad amare i personaggi e le loro infelici storie».
Il coraggioso editore Bonfirraro ritorna in libreria con uno dei suoi romanzi dal chiaro intento sociale, per ribadire la necessità dello smascheramento dei volti e delle responsabilità dei potenti, un’azione collettiva che non ha mai colore né credo politico. «Gli anni della crisi economica hanno devastato anche il tessuto sociale. Dobbiamo riappropriarci del senso vero di “polis” e ogni cittadino onesto deve mirare alla realizzazione di una società più giusta. Novembre è un bel mese per morire è, sin dal titolo, un modo – ironico – per riappropriarci del nostro tempo e del nostro saper fare impresa» chiosa, infine, Salvo Bonfirraro.

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