27 Aprile 2024

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Acate. “Una poetica descrizione del Venerdì Santo pubblicata su La Siciliana nel 1912, dal maestro acatese Giuseppe Leone”.

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Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 1 marzo 2024.-  Tra meno di un mese entreranno nel vivo ad Acate i riti della Settimana Santa che animano giornate di fede e di festosità, di meditazione e di spettacolo, in una simbiosi che rende solo apparenti i contrasti. Riti, tradizione e cultura trovano infatti una giusta mescolanza nelle varie processioni e rappresentazioni sacre che si susseguono nel corso della Settimana Santa.  Ma il giorno più atteso è senza dubbio quello del Venerdì Santo, quando sacro e profano si fondono, anche se il primo aspetto riesce sempre a sopravvalere sul secondo. Tra i Riti Sacri della Settimana Santa in Sicilia, quello del Venerdì ad Acate, pur non essendo tra i più noti, è senza dubbio uno dei più suggestivi e spettacolari. Nel corso della mattina una lunga processione con il simulacro di Gesù che porta la croce sulle spalle, immutabile da decenni, si snoda lenta e solenne lungo le vie principali del paese, risalendo dalla chiesa Madre fino al Calvario, eretto nell’omonima piazza. La sera invece, sempre del Venerdì, con la sacra rappresentazione, comunemente detta, “I setti parti”, viene riproposta la Passione e morte del Cristo. Il dramma, liberamente tratto con sostanziali modifiche sia al testo che alla scenografia, da un opera del barone vittoriese Alfonso Ricca, viene interpretato da un’abile compagnia teatrale locale costituita da giovani, sotto la guida del dottore Luigi Denaro, noto attore acatese, che ogni anno si impegnano per lungo tempo studiando parti e battute allo scopo di fornire alla finzione scenica la ricostruzione minuziosa del dramma di Cristo. I protagonisti, romani e giudei, nella policromia dei tradizionali costumi, ricostruiti sui modelli dell’epoca attraverso un paziente lavoro di ricerca, riescono a rendere sempre più drammatica e reale la rappresentazione, offrendo uno spettacolo di grande suggestione e di rilevante coinvolgimento spirituale che, ancora oggi, riesce a strappare autentiche lacrime di commozione ai numerosi spettatori.  Una antica tradizione, quella del Venerdì Santo, quasi immutata negli anni. Il compianto don Rosario Di Martino, emerito parroco di Acate, nella sua opera “Biscari e il suo Martire che sorride”, riporta una bellissima e poetica descrizione, di quel particolare giorno della Settimana Santa, fatta da un “illustre figlio di Acate”, il maestro Giuseppe Leone, dallo stesso pubblicata, nel 1912, su la rivista, “La Siciliana”.

“A traverso le vetrate, offuscate della notte, il giorno ha barlumi di luce semispenta; il cielo coperto di cenere, non ha riflessi diamantini ne sfumature di azzurro; gravita sulla terra come una dolorosa, immensa, infinita cappa di piombo. E il vento che con i sordi brontolii, batte le cime degli alberi annosi e per le vie non un uomo ancora che passi, ne una voce che rompa la solitudine misteriosa del momento.

E’ l’alba del Venerdì Santo.

Più tardi le vie, specie quelle che portano alla Chiesa Madre, dove sorge tra fiori, candelabri e ceri, il sepolcro, si van a poco a poco popolando…

Al Calvario intanto ferve il lavoro per la costruzione del palco dove nove personaggi giudicheranno il Martire della Galilea.

Sono le undici… va gremendosi poco a poco la piazza. Il Cristo, caricato del pesante fardello della croce, appare tra il clero e i giudei che intonano: u lamientu…

Il pubblico riverente si scopre;; la musica cittadina, in alta uniforme, intuona la marcia funebre…

Il Cristo…dal viso pallido ed espressivo, che sanguina da mille piaghe, con la testa abbandonata sulla spalla destra, è circondato di giacinti e di viole mammole.

Le trombe squillano, le pie donne seguono compunte il biondo Rabbì, la processione procede lentamente.

Ad un terzo del percorso il corteo si ferma e a santa bruonica (la Veronica) asciuga con un fazzoletto bianco la fronte del Nazareno, madida di sudore e di sangue. Indi mostra al pubblico il miracolo…

Quando la processione arriva e quattru cantuneri (quattro canti), avviene l’incontro del Figlio con la Madre. Il Cristo alza lentamente il capo e con espressione di strazio indescrivibile guarda l’Addolorata, che, vestita a lutto, porta una spada conficcata al petto. Poi riabbassa il capo e con la destra, stretta fra pesanti catene, indica alla madre sua di seguirlo. Non v’è donna in quell’istante che non abbia gli occhi umidi di lacrime!

La processione prosegue.

A dicirotturi cioè a mezzogiorno, il Cristo, spogliato dalle sue vesti, è conficcato in croce, sul Golgota,dai preti. Nessuno può toccarlo, tranne che loro.

E sta in croce fino all’Avemaria, e durante tutto il pomeriggio i contadini, sdraiati sul prato tempestato di margheritine, cantano lamentevolmente:

Maria passa di na stata nova,

Na porta d’un firraru aperta era;

– O caru mastru, chi fai apiertu a st’ura?

– Fazzu na cruci cun tri pungenti chiova,

– O caru mastru nun la fari ora

– ca bona ti la paiu la mastria;

– O cara donna nun lu puozzu fari,

– chi unn’è Gesù ci mintinu a mia.

Prima della scesa, nove personaggi, vestiti in costume, su di un palco eretto per la circostanza, recitano il dramma che fu scritto in versi dal poeta Ricca di Vittoria…

Messo nell’urna, il Cristo è portato processionalmente per le vie principali del paese.

Biscari, aprile 1912”.

 

 

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