2 Maggio 2024

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AUTONOMIA DIFFERENZIATA O SECESSIONE DEI DIRITTI?

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Vittoria. 17 maggio 2019
Riceviamo e pubblichiamo una analisi dettagliata della docente FRANCA PRIVITELLI.

Reduce da un convegno a Palermo, su “L’autonomia differenziata e le sue conseguenze”, promosso dal CESP (centro studi per la scuola pubblica), vorrei condividere con voi le mie informazioni , ma anche le mie preoccupazioni, su un “possibile” avvio di processo di differenziazione regionale, richiesto con forza , soprattutto da due regioni : Lombardia e Veneto (con referendum regionale consultivo nel 2017) a cui si è subito unita anche l’ Emilia Romagna. Escludendo le regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige) anche le altre regioni a statuto ordinario hanno avanzato richiesta di autonomia, ad eccezione dell’Abruzzo che non ha mai avviato alcuna procedura. Le Regioni, si appellano a quelle forme di autonomia, previste nella Costituzione, laddove l’articolo 5 dice che : La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Ma le pressanti richieste corali di esigenze di gestione autonoma dei propri territori, sembrano accrescere sempre più, quella voglia di volersi liberare dal giogo dello Stato , contribuendo ad una forte spinta verso il “federalismo fiscale” ( attribuzione della titolarità delle entrate fiscali alle collettività territoriali che devono gestire autonomamente comparti pubblici, come : previdenza, scuola e sanità), che non può, non destare preoccupazioni . Pertanto è necessario ricordare alle nuove generazioni, che l’UNITA’ del nostro Paese è costata sacrifici e sangue, e la nostra Costituzione, elaborata dai nostri Padri costituenti, fu il frutto di un lavoro complesso, e fu un’opera di compromesso tra le varie forze politiche : cristiane, repubblicane, socialiste, comuniste e liberali, le quali hanno dato “corpus” ad una serie di norme , per uno Stato che deve dare spazio a tutte le varie esigenze morali, filosofiche e politiche , e dare unità ad una complessa varietà sociale, facendo un giusta sintesi , non precludendo futuri sviluppi, ma tenendo conto sempre ,dei principi fondanti della comunità del Paese e lo sviluppo della persona (art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese). Perché ho citato questo articolo, perché la costituzione non può limitarsi ad uno sviluppo formale delle norme , ma deve darne atto nel concreto , attraverso l’intervento dello Stato, la sola garanzia di unità ed eguaglianza , pertanto un sistema federale è lontano dalle idee e dai principi dei nostri padri costituenti, i quali seppur prevedendo nell’art. 5, forme di autonomie, queste possono realizzarsi garantendo un equilibrio tra Stato-Regione. Di questo ne sono prova, le sentenze della Corte Costituzionale, che spesso è intervenuta nei confronti delle regioni, su alcuni elementi di incostituzionalità, depotenziando di fatto il potere dell’autonomia regionale. Così come nel titolo V della Costituzione, l’art. 117 elenca le competenze esclusive dello Stato, e afferma che le regioni hanno competenza concorrente, fatti salvi i principi fondanti, e laddove lo Stato non ha competenza. Inoltre alle regioni vengono riconosciute competenze legislative, con deroga dello Stato, a patto che le leggi, non vadano contro il detrimento di altre regioni. Lo Stato infatti, opera forme di controllo sui Consigli regionali e sugli atti amministrativi dei governi regionali, proprio per adempiere alle finalità delle norme costituzionali e dello spirito dei padri costituenti. Detto ciò è importante ricordare che il dibattito dell’ Assemblea Costituente deve essere patrimonio di tutti , perché diversi temi, tra cui il tema dell’autonomia regionale, sono temi già dibattuti dalla Costituente, proprio in previsione di sviluppi futuri , e questo sistema di norme e lo spirito istituzionale della nostra Costituzione , deve permetterci oltre che di trovare compromessi possibili, deve permetterci di resistere, contro ogni forma di disgregazione e di attacco a quell’ordinamento sociale che abbiamo ereditato sino ad oggi. L’unità nazionale peraltro è stata più forte politicamente, ma lo squilibrio tra Regioni del nord e Regioni del sud e la condizione del mezzogiorno ha insidiato spesso l’unità politica a causa di una mancanza di unità economica del Paese. Premesso ciò, da dove nasce l’esigenza di una richiesta di maggiore autonomia regionale? E qual è il modello di autonomia e di regionalismo sotteso? Di tipo solidaristico o competitivo? Purtroppo la spinta verso l’autonomia nasce dall’unico oggetto di desiderio, “il residuo del gettito fiscale”, dove per “residuo del gettito fiscale” si intende la differenza tra quanto un territorio versa sotto forma di tributi allo Stato e quanto da esso riceve sotto forma di servizi. Ebbene da calcoli fatti, le prime regioni in ordine di maggior residuo fiscale troviamo : la Lombardia con la cifra record di 54 milioni di euro in residuo, seconda l’Emilia Romagna con quasi 19 milioni, e terza la regione Veneto con 15 milioni e mezzo di euro, seguono le altre , e poi ci sono le regioni in deficit, in particolare quelle del sud . A questa condizione di disuguaglianza economica, fortunatamente corre in aiuto la Legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”L’articolo 119 della Costituzione è sostituito dal seguente:”Art. 119. – I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Dobbiamo perciò ringraziare il fondo perequativo se fino ad oggi , le disuguaglianze sono state colmate, si tratta di una norma di alto profilo civile ed etico-politico per la collettività, a garanzia di un benessere spirituale e materiale. Ebbene il modello di regionalismo e di autonomia differenziata che chiedono queste regioni, certamente non può essere di natura solidaristica, perché se così fosse , la nostra Costituzione è perfetta così com’è, e garantisce già diverse forme di autonomia gestionale, ma evidentemente queste regioni, pensano ad un modello di autonomia competitiva e ad esclusivo beneficio del proprio territorio. E se la ratio di questa autonomia differenziata è che l’80% del residuo fiscale deve restare nella propria regione , ben si comprende , come questo sarà un elemento distintivo in termini di livelli essenziali dei servizi ( scuola, sanità, ambiente e lavoro) dove nelle regioni più povere verranno garantiti quei livelli essenziali standard , mentre nelle regioni più ricche , gli standard saranno più elevati in termini di qualità e quantità, non solo , ma anche all’interno di una stessa regione , si determinerà una parcellizzazione dei livelli essenziali. Pertanto non stiamo parlando soltanto di una secessione geopolitica, ma di una vera secessione dei diritti. Ma dove sta il frutto avvelenato di questa autonomia? Dopo l’esito favorevole dei referenda regionali consultivi del 22 ottobre 2017 di Lombardia e Veneto, il 28 febbraio del 2018 le regioni : Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna firmano una pre-intesa con il Governo (premier Gentiloni) , per avviare un modello di autonomia differenziata regionale, un’intesa dove però non viene indicato cosa viene trasferito a competenza della regione, ma si rimanda a delle varie commissioni paritetiche che si susseguiranno , a cui si potranno trasferire i soldi dello Stato alle regioni , praticamente un modello simile ad un macromodello di regione a Statuto speciale, dove necessita l’applicazione dell’art.116 comma 1 ossia: Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Invece la pre-intesa sulla differenziazione regionale si basa su dei decreti attuativi che il governo emanerà. Ed è proprio qui che si annida il germe della disgregazione, poiché nel caso di elementi di incostituzionalità, la corte costituzionale per effettuare controlli sui decreti legislativi emessi dal consiglio dei Ministri , richiederà tempi lunghi e procedure farraginose , nel frattempo aumenteranno le disparità dei servizi: dagli asili nido, al tempo pieno a scuola, dalle rette scolastiche, dai servizi mensa, quasi tutti carenti al sud. E la Scuola , nelle regioni in deficit , potrà garantire in termini di risorse e strumenti la stessa qualità, di quelle regione con elevato residuo fiscale ? E per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, saranno uguali i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali di prestazioni? Non credo proprio, se l’OCSE nel nostro Paese ha già rilevato 21 differenti sistemi sanitari, e 21 realtà ospedaliere , ovviamente ci saranno 21 ticket sanitari; e sarà ancora possibile andarsi a curare in altre regioni coprendo interamente i costi, avvalendoci ancora della Legge 833/78, che in nome dei principi di dignità, salute, equità, appropriatezza ed economicità, ha garantito finora i servizi sanitari in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale? O forse c’è il pericolo di ritornare alle mutue? A voi le risposte.

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