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Cgil, Fiscal Compact nemico di crescita, sviluppo e coesione

Roma, 15 novembre – “Il Fiscal Compact è nemico della crescita, dello sviluppo e della coesione, chiediamo quindi che non venga ratificato”. È quanto è tornata a chiedere la Cgil in occasione dell’iniziativa che si è svolta questa mattina presso la sede nazionale del sindacato.

Nel corso del dibattito, in cui hanno preso la parola Gianna Fracassi, Laura Pennacchi, Marcello Minenna, Vincenzo Visco, Riccardo Realfonzo, Ronald Janssen, la Cgil ha analizzato, a poche settimane dalla sua verifica, “gli effetti pesantissimi” che il Patto ha avuto sulle economie dei Paesi europei dal 2013, anno di entrata in vigore, ad oggi.

Per la Confederazione “l’Italia è stata più ‘realista del re’, perché – spiega – è stata molto più rigida nel rispetto e nell’attuazione dei vincoli, determinando così nefaste conseguenze. Nell’immediato, in una fase di crisi economica, ha infatti trascinato il Paese in una spirale recessiva, il debito è aumentato, e abbiamo assistito ad una riduzione degli investimenti pubblici e privati ( -100 mln da inizio crisi)”. “Inoltre, tutte le politiche scaturite dal Fiscal Compact hanno avuto effetti devastanti anche sul mercato del lavoro: occupazione e qualità del lavoro si sono ridotte, mentre sono aumentate le disuguaglianze sociali, economiche e territoriali”.

“Quella di oggi è una discussione che riguarda il futuro dell’Europa, ma anche della democrazia. Il Fiscal compact deve essere abrogato, non deve diventare parte dei Trattati”. È quanto ha dichiarato in conclusione il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. “Costruire un’altra politica economica in Europa è possibile”, sostiene, “non esiste solo la strada dell’austerità, fatta di tagli e riforme strutturali che non risolvono concretamente i problemi. Occorrono invece investimenti, che avrebbero effetti moltiplicatori sulla crescita”.

“È importante che i sindacati, italiani ed europei, favoriscano confronti e proposte come quello di oggi per far diventare questo tema parte del dibattito pubblico, perché – aggiunge infine – la riduzione degli spazi di democrazia avrebbe effetti devastanti anche sul lavoro”.

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