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I dimenticati di Santo Pietro di Caltagirone

Nell’estate del 1943 il 1° aviere Vincenzo Inglima era un giovane di quasi 25 anni, in servizio presso il Comando Aeroporto 504 di S. Pietro di Caltagirone. Era nato a Serradifalco (provincia di Caltanissetta) nel Novembre del 1918 da Salvatore Costantino e Rosa Barrile. Era il penultimo di cinque figli: Concetta, Angela, Amedeo e Calogera. Nel 1924, per ragioni lavorative, la famiglia Inglima si era trasferita a Palermo. Una volta maggiorenne, con l’aiuto del padre, Vincenzo aveva aperto una piccola tabaccheria in Corso dei Mille a Palermo. Fu chiamato alle armi nel 1937 e incorporato nella 205a Squadriglia del 12° Stormo Bombardamento Terrestre, i cosiddetti “Sorci Verdi”, di stanza a Ciampino, la quale nel gennaio del 1938 compì la trasvolata oceanica Italia – Brasile su SM79T. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, Inglima fu richiamato in servizio. Dall’aeroporto di S. Pietro aveva un rapporto epistolare molto stretto col cognato Michelangelo, marito della sorella Concetta, al quale mandava anche numerose foto e cartoline.
Questo è il ricordo della nipote Carmela Rizzo, figlia della sorella Concetta e del cognato Michelangelo Rizzo : “Enzo era un giovane allegro al quale piaceva la compagnia degli amici e il mare. Ci vedevamo di rado a causa della lontananza tra Serradifalco e Palermo, ma quando ci recavamo nel capoluogo siciliano dai nostri parenti, Vincenzo era per noi nipotini lo zio preferito, ci rendeva felici facendo scherzi e dispettucci e infine ci portava al mare. A causa della guerra gli incontri fra noi nipoti e lo zio divennero meno frequenti fino a quando lui e il fratello Amedeo partirono soldati. Palermo nel ’43 era martellata dai bombardamenti, così gli zii decisero di trasferirsi per un breve periodo nel nostro paese, Serradifalco. Era il Giugno del ’43 e lo zio Enzo (lo chiamavamo così) ottenne una licenza e venne a trovarci in paese. Eravamo contenti nel ritrovarci tutti insieme e in quella occasione Enzo fece da padrino all’ultimo di sette figli della sorella Concetta, nonché mio fratello Pietro Vincenzo (da cui prese il nome). Fu un’occasione gioiosa pur nella ristrettezza dei tempi. Ricordo ancora che la sera ci portò al cinema: proiettavano un film di propaganda fascista, “Bengasi”, dove si continuava ad assistere ad un continuo bombardamento. La mia sorellina Angela, seduta accanto, mi disse: ”andiamo via , Enzo si sente male”. Lo guardai ed effettivamente il suo volto trasmetteva tristezza e angoscia: questo è il mio ultimo ricordo! L’indomani Vincenzo partì per S. Pietro e da allora non abbiamo avuto più alcuna notizia. Dopo qualche giorno ci fu l’invasione degli americani. Nei mesi che seguirono ci pervennero tante notizie, alcune per certi versi anche assurde, ma noi rimanemmo increduli perché la speranza del nostro cuore era quello di rivederlo. Nel tempo però ci rassegnammo all’idea della sua scomparsa e capimmo che Enzo non sarebbe più tornato. A mio padre infine comunicarono che fu dichiarato disperso.”
Il 10 luglio1943, giorno dell’invasione anglo-americana, il comandante della guarnigione di S. Pietro disse ai suoi soldati: “Avieri, è ora di fare il nostro dovere”. Furono distribuiti i moschetti e i militari italiani iniziarono a pattugliare i dintorni della base alla ricerca dei numerosi paracadutisti americani lanciati in zona. Per tre giorni ci furono scontri a fuoco e furono catturati diversi nemici. Il 13 luglio la guarnigione italiana si schierò nelle trincee per l’ultima battaglia per l’aeroporto. Dopo un fitto bombardamento dell’artiglieria nemica, il primo attacco cominciò il pomeriggio e si sparò per più di un’ora, un caricatore dietro l’altro. Si sentivano cannonate dovunque. Il primo assalto americano fu respinto, ma non si poteva fare di più. Dopo il tramonto, un tenente radunava gli avieri al centro del bunker, l’ultimo caposaldo: «Avieri, vi siete battuti bene, ma ora dobbiamo ritirarci». Ma era troppo tardi, perché l’aeroporto era stato investito direttamente da due battaglioni americani. Il grosso della guarnigione italiana e i tedeschi avevano ripiegato nel buio verso Caltagirone. Lì sotto, nelle trincee e nelle grotte rimasero in retroguardia meno di cento uomini, tra cui molti avieri. Prima dell’alba i nemici circondarono il rifugio dove si trovava Vincenzo Inglima. Due bombe furono fatte esplodere davanti alle uscite. Poi i soldati americani urlarono di venire fuori con le mani alzate e gli italiani obbedirono. Furono perquisiti e privati di tutto, lasciandoli in mutande o con i pantaloni corti. Gli tolsero pure le scarpe per impedirgli di correre. Poi li fecero marciare verso la costa. Erano avieri e mitraglieri dell’esercito.
I sorveglianti del gruppo di prigionieri erano otto. Dopo la curva del torrente Ficuzza, sulla rotabile per Acate, la colonna fu bloccata. Un sergente gigantesco con un tatuaggio sul braccio iniziò a sparare sui prigionieri col suo mitra Thompson, tra il terrore e il fuggi fuggi delle vittime. Furono trucidati 34 italiani e 3 tedeschi, mentre due italiani riuscirono a scampare gettandosi nel torrente. Tra i caduti c’era probabilmente Vincenzo Inglima.

Notizie fornite da Luisa Rizzo (figlia di Pietro Vincenzo Rizzo, nipote di Vincenzo Inglima) e tratte dai documenti militari americani e italiani.

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