Una 47enne di Lodi, rimasta vedova durante la prima ondata di Covid, si trova ora costretta a restituire i 200mila euro ricevuti dall’assicurazione come risarcimento per la morte del marito. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Bologna, che ha ribaltato la decisione del tribunale di Parma, aggiungendo anche una condanna al pagamento di 24mila euro di spese legali.
La storia risale al marzo 2020, quando l’uomo, che lavorava in una concessionaria d’auto, è morto dopo aver contratto il virus. In primo grado, i giudici di Parma avevano accolto la richiesta della moglie, riconoscendo che il decesso rientrava tra gli eventi coperti dalla polizza contro gli infortuni sottoscritta dalla famiglia.
La Corte d’Appello, però, ha dato ragione all’assicurazione: secondo i magistrati, l’infezione da Covid-19 non può essere considerata un “infortunio”, perché non deriva da una causa violenta esterna, come previsto dal contratto. «Un’infezione virale, pur producendo effetti violenti, non è il risultato di una causa violenta e quindi non rientra nella nozione di infortunio», si legge nella sentenza. La decisione potrà comunque essere impugnata in Cassazione. La polizza, stipulata diversi anni prima della pandemia, era infatti pensata per coprire solo eventi traumatici, non malattie infettive come il Covid.
«Sono distrutta – ha raccontato la donna al Corriere della Sera –. Pensavo di aver chiuso questa dolorosa vicenda, invece mi ritrovo con un’altra battaglia da affrontare. I 24mila euro di spese legali sono la vera mazzata: li vivo come una punizione». La vedova sta valutando con i suoi legali se presentare ricorso in Cassazione, almeno per tentare di ridurre l’importo delle spese processuali.
