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Titoli di stato: troppe tasse su bot e btp, prestare soldi allo stato non conviene più

Analisi del Centro studi ImpresaLavoro

Prestare soldi allo Stato non conviene più. Anzi, le famiglie italiane che continuano a investire parte della loro ricchezza in Bot o Btp ci stanno addirittura rimettendo, spesso senza rendersene nemmeno conto. Sono i risultati ai quali giunge una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro (http://impresalavoro.org/quando-tasse-superano-gli-interessi-dei-titoli/).

Negli ultimi tempi si è assistito a un sempre maggiore calo nei rendimenti dei titoli del debito pubblico italiano per effetto delle misure straordinarie adottate dalla Bce in risposta alla crisi dei Paesi periferici scoppiata nel 2011: taglio dei tassi fino allo 0,05%, operazioni straordinarie di rifinanziamento a più lungo termine (Ltro e Tltro) nonché acquisto di titoli pubblici sul mercato (Quantitative Easing). Risultato? Un risparmio notevole per il Tesoro ma anche un calo drastico della redditività di tale investimento nelle tasche delle famiglie italiane che, secondo i dati Bankitalia relativi a fine 2013, detengono in titoli di Stato ben 180,8 miliardi di euro della loro ricchezza (il 4,7% del totale). Nonostante queste misure i rendimenti lordi di questi investimenti sono rimasti ancora per qualche tempo comunque leggermente positivi. Senonché il combinato disposto del prelievo fiscale sui rendimenti e dell’imposta di bollo (salita allo 0,2% dall’inizio del 2014) ha comportato risultati complessivamente negativi per i piccoli risparmiatori ancor prima che ciò fosse evidente al grande pubblico.

Sin dalle aste del febbraio 2015 i Bot semestrali e annuali, nonché i Ctz (una sorta di Bot a due anni), hanno ad esempio avuto un rendimento annuo netto effettivo negativo a scadenza. Quanto ai Btp quinquennali e decennali offerti in asta, questi hanno sempre determinato finora un rendimento positivo sia in termini lordi che netti. L’incidenza effettiva delle imposte (interessi + bollo) è però molto elevata: ha toccato il 48,2% per i Btp a 5 anni emessi nel febbraio e marzo 2015 e il 27,4% per i Btp a 10 anni offerti nel marzo 2015. Può andare anche molto peggio se i titoli sono acquistati sul mercato. Risulta quindi curioso che a inizio 2015 il governo sia intervenuto per contenere o annullare le commissioni bancarie sui titoli di Stato comprati all’asta ma non abbia pensato di limitare la sua voracità, che intacca i risultati già magri di questi strumenti tanto cari (in tutti i sensi) ai risparmiatori.

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