Vittoria. 24.10.2025
C’è un gran parlare per quanto accade a Vittoria ultimamente, soprattutto sui Social, dove tutti, ma proprio tutti, siamo diventati esperti di criminalità, di guerra, di ambiente, di clima, di medicina, di spazzatura e chi più ne ha più ne metta. Ognuno di noi diciamo la nostra e tutti abbiamo la presunzione di ritenere quell’idea, la migliore rispetto a quelle degli altri. Inoltre, non rinunciamo a “condannare” pur in assenza di prove, chi denuncia pubblicamente, a suo rischio e pericolo, fatti e misfatti criminali di gravità inaudita. Questo è quello che accade ad un collega che ha descritto con dovizia di particolari, gli episodi criminali vittoriesi: Giuseppe Bascietto. Oggi, considerato che anche io, nonostante mi occupi di cronaca nera e giudiziaria da quasi mezzo secolo, ho letto con interesse e attenzione, le dichiarazioni rese dal collega Bascietto alla TV albanese, sull’argomento, e su questo vorrei fare un sunto, non sulla parte che tratta il fenomeno criminale, di cui sono un modesto conoscitore per la mia lunga esperienza, ma sulla parte che ritengo la più importante in assoluto.
“Mafia albanese e Sicilia: la denuncia di Bascietto e la necessità di una risposta culturale”.
La recente intervista all’amico
giornalista, rilasciata alla televisione albanese ha riacceso i riflettori su un fenomeno che da tempo inquieta la Sicilia: le infiltrazioni della mafia albanese nel tessuto economico e sociale dell’isola, con particolare riferimento alla città di Vittoria, recentemente teatro di gravi episodi criminali.
Bascietto, che da anni indaga con coraggio sulle connessioni tra criminalità organizzata locale e gruppi stranieri, ha spiegato come la lotta alla mafia non possa più essere confinata a un territorio o a un confine nazionale. “Se arrestiamo un latitante a Tirana” dice Bascietto “dobbiamo saper collegare quel nome a ciò che accade in Sicilia, e viceversa”.
Le sue parole trovano eco anche nelle recenti dichiarazioni del Procuratore Nicola Gratteri, che ha più volte messo in guardia sul ruolo crescente della mafia albanese nei traffici di droga e nel riciclaggio di denaro sporco in Italia.
Ma per Bascietto la sfida non si gioca soltanto sul piano investigativo.
“La mafia non è solo polizia e manette, è anche povertà, ignoranza e mancanza di prospettive”, ha sottolineato. È una battaglia sociale e culturale prima ancora che giudiziaria. Le periferie dimenticate, le scuole abbandonate, i giovani senza futuro diventano terreno fertile per l’illegalità.
“Un mafioso teme più un giornalista che scrive che un uomo armato” ha aggiunto il collega, ricordando l’importanza di un’informazione libera, capace di raccontare, denunciare e rompere il silenzio dell’omertà”.
Da qui il suo appello alla politica: investire nella scuola, nella cultura, nei quartieri più fragili, creando “un esercito di insegnanti” e formando giovani consapevoli, in grado di riconoscere la trappola dell’illegalità e di capire che esaltare un boss non è un valore né in Sicilia, né in Calabria, né in Albania.
Perché la vera vittoria contro le mafie, aggiunge Bascietto, non passa solo per i tribunali, ma attraverso una società che educa, pensa e non si lascia sedurre dal mito del potere facile.
“Serve un grande investimento nell’istruzione e nella cultura, questa è l’arma più potente che abbiamo contro il crimine organizzato” conclude Bascietto.
Ritengo che questa battaglia contro il disagio della criminalità, suggerita da Bascietto, possa essere una soluzione per vincere la guerra contro l’ignoranza, il sopruso, la sopraffazione e l’incultura.
Infine, auspico, consapevole di quanto accade oggi intorno al mondo dell’informazione, (vedi Sigfrido Ranucci) che ognuno di noi, a meno che non abbia prove inconfutabili di ciò che dice o scrive, eviti di “straparlare” di questo o di quello, soprattutto se si tratta di persone sovraesposte, che a volte, non sono tenute nella giusta considerazione, nemmeno da chi dovrebbe farlo per dovere professionale.